Dare voce a chi non l'ha più...Abbiamo sempre guardato a Casale Monferrato come al più importante esempio collettivo di sensibilità ambientale contro l’amianto e all’Associazione Famigliari Vittime Amianto ( AFEVA) un modello da seguire nella lotta della messa al bando dell’amianto.

Anche la nostra città Bari , al pari di Casale Monferrato , è martoriata da un terribile disastro umano e ambientale essendo vittima degli effetti patologici dell’amianto, causati dalla dispersione delle fibre prodotte per tanti anni in massima parte dalla Fibronit  fabbrica di cemento amianto, come la Eternit .

A noi , vittime dell’amianto di Bari, sfugge la logica secondo la quale “un giudice sottoposto alla legge tra Giustizia e Diritto deve scegliere il Diritto” con ciò annullando per intervenuta prescrizione la condanna per disastro ambientale  in nome di un  astratto tecnicismo che rimuove la realtà, “ le morti non fanno parte del disastro ma sono un effetto…quel che perdura è l’effetto, non il disastro” .

Questo è il  tenore del ragionamento fatto dalProcuratore Generale  nella sua requisitoria, considerando il dolore, la sofferenza e la morte delle persone coinvolte nelle patologie tumorali dell’amianto, il mesotelioma, come una sorta di  effetto collaterale, il colpo di coda di una condotta criminale andata in prescrizione.

La sentenza della Cassazione rigettando l’ipotesi accusatoria del “disastro ambientale permanente“  ed escludendo gli effetti della stessa, ha messo in discussione  il ruolo stesso di Giudice negando la “duttilità” interpretativa della propria funzione anche se ciò confligge con il senso di giustizia “la prescrizione non risponde ad esigenza di giustizia sociale ma stiamo attenti a non piegare il diritto alla giustizia sostanziale, il diritto costituisce un precedente, piegare il diritto alla giustizia oggi può fare giustizia ma è un precedente che domani produrrà mille ingiustizie” portando il ragionamento a sconfessare le precedenti sentenze che per certi versi tentavano di coniugare, in mancanza di un disposto normativo, Diritto e Giustizia definendole “sfuggente figura di reato ad evento permanente”.

Ci auguriamo che il clamore e lo sdegno per questa sentenza che da un lato non ammette il reato di disastro ambientale e dall’altro ammette la colpevolezza dell’imputato “il giudice deve sempre tentare di calare la giustizia nel diritto se è convinto della colpevolezza deve sempre cercare di  punire un criminale miliardario che non ha neppure un segno di umanità e prima ancora di rispetto per le sue vittime, ma ci sono dei momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte.possa portare ad una normativa che sappia coniugare sia il Diritto che la Giustizia come la stessa Corte ha ammesso di non aver ottemperato con la sentenza del 19 novembre 2014.

L’esempio di composta reazione dell’intera comunità di Casale Monferrato e dell’associazione famigliari vittime dell’amianto  possa continuare ad essere un modello di sensibilizzazione per tutte le associazioni, per bandire nel mondo intero l’utilizzo dell’amianto e possa servire alla bonifica dei territori inquinati e fare da sprono per una svolta nella  ricerca  scientifica, per addivenire al più presto ad una cura del mesotelioma affinché non possa esservi più “latènza” sia della malattia che della Giustizia nel senso che possa al più presto emergere.

Dobbiamo essere grati a Casale Monferrato.

Lillo Mendola

Associazione Familiari Vittime Amianto Bari

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1 Commento to “La “latènza” della Giustizia”

  1. Loredana Bondi ha detto:

    Vorrei riportarti un articolo del mio amico prof. Gianni Venturi, pubblicato su ferraraitalia.it del21.11 sul tema tragico della sentenza Eternit, con un mio commento che riguarda appunto la morte di una cara amica, la cui figlia in questa tremenda occasione pubblica una lettera dettatale dalla madre prima di morire. Sono con voi, per una giustizia umana vera, a prescindere dai cavilli disarmanti di un diritto ingiusto : quello fatto solo per chi ha potere economico e per i suoi sudditi. Loredana Bondi

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    Gianni Venturi Gianni Venturi
    21 novembre 2014

    Il nodo ti prende alla gola. “Al magòn”, come si dice nella nostra lingua materna. E assieme a questa sensazione di scoramento e di vuoto il senso di una colpa, di una grave colpa, che sovrasta un popolo che non ha saputo trovare la sua auspicata, cercata, invocata unità nazionale.
    Fatti apparentemente inauditi ci martellano, ci sconvolgono. Fatti a cui non si sa dare un senso: il cerimoniale mafioso dei “santisti” sfacciatamente esibito, non nel paesino nascosto di qualche landa meridionale ma nell’altezzoso Nord dove al giuramento in cui s’invoca la luna e la notte, i santi e la connivenza fino alla morte, si mescola il ricordo di coloro che un tempo “fecero l’Italia”, gli eroi laici del pensiero nazionale.
    E ancora. L’impunità del volere mafioso che nel processo in cui si giudica la persecuzione portata a Roberto Saviano e alle sue denunce, assolve “in punta di legge” il mafioso e si condanna l’avvocato.
    Infine, la sentenza che assolve il/i responsabili della malefica “polvere bianca” (non la droga ma ciò che è peggio della droga, il veleno dell’amianto) che ha distrutto famiglie, persone innocenti, paesi: come una nuova e inaudita pestilenza.
    Cerco una spiegazione ma non la trovo, se non una traccia, nell’accorato commento che Gad Lerner pubblica su La Repubblica: che la via per il miliardario svizzero fosse anche agevolata dal sistema giuridico italiano era ben chiara. Così, scrive Lerner: “Ci ha pensato la Cassazione, infine. I calcoli di Schimidheiny sulla malagiustizia italiana erano ben riposti. La legge del più forte ha prevalso sulla sofferenza di una comunità civile che per anni ha continuato a inalare le fibre cancerogene del suo Eternit.”
    Questo nome minaccioso che rimanda a un’eternità di distruzione e di dolore…
    Allora vengono in mente le parole sul garantismo, sul giudizio che può cambiare e sulla necessità di affidarsi per la definitiva assoluzione o condanna al terzo grado. E ci domandiamo “immagonati” come siamo, “Può la ragione prevalere sul sentimento?”, “Può la legge, pur applicata con rigore, trascurare la voce o meglio l’urlo di chi ha perso affetti e persone care. La prescrizione al posto dell’evidenza del male non combattuto ma assolto?”. Possono le regole imporsi sulla umanità?

    vergogna-parola-abusata
    Cave nel Parco delle Alpi Apuane

    La tristezza di questa ormai copiosa serie di sconfitte sul piano etico viene alleviata da un pensiero alto che s’incarna, si diceva una volta, in un “aureo” libretto scritto da Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale “Il territorio bene comune degli italiani”, introduzione di Salvatore Settis (Donzelli editore, 2014). Maddalena ha tenuto un’appassionata conferenza introduttiva (e basta col termine “lectio magistralis” talmente abusata da non significare più nulla) al conferimento del premio Bassani istituito da Italia Nostra che si è svolto a Ferrara pochi giorni orsono e che ha dichiarato vincitori un giornalista di vaglia come Francesco Erbani e un giovane economista, Luca Martinelli, che si è impegnato a portare la sua esperienza specifica nel denunciare lo scempio delle Alpi Apuane o i tristi contraccolpi sul paesaggio nella costruzione dell’autostrada Mestre-Orte. Ai due vincitori a cui s’affiancano gli altri valorosi difensori di ciò che Maddalena sottolinea già dal titolo del “Territorio bene comune degli italiani” e che vinsero le passate edizioni del premio: Antonio Mazzeo e Tomaso Montanari andrebbe di nuovo rivolta la domanda. Può il diritto in nome delle regole, mandare liberi chi si è reso colpevole non solo della morte di tante persone ma dell’avvelenamento di un paese quale Casale Monferrato?

    La rigorosa disamina condotta da Maddalena vuole mettere in evidenza che il territorio italiano è non dei privati o tantomeno dei politici che governano (o dovrebbero governare) in nome del “popolo sovrano” bensì degli italiani.
    Ma gli italiani si rendono conto del grandissimo privilegio-onere che dà loro la Costituzione italiana, oppure si comportano come “itagliani”? Ancora una volta “un volgo disperso che nome non ha”. Purtroppo.”
    Il Mio commento…
    “Credo di condividere ogni parola da te riportata su questa ennesima terribile avventura , che di umano, di giusto, di etico non ha assolutamente alcuna traccia. Una vittima di questa ecatombe era una mia cara amica, la cui figlia Elisa Mucchi, ha ritenuto in questo tragico momento pari a quello della ” prima morte”, ha voluto pubblicare una lettera scritta dalla madre prima di morire, mai pubblicata . Con lucidità la cara Paola, bravissima e creativa insegnante di scuola elementare a Migliarino, parla di questa terribile malattia che l’ha colpita :il mesotelioma.
    Vorrei consegnare a chi lo vorrà, il testo della lettera pubblicata dalla figlia, abbracciando lei e il marito di Paola, Giancarlo Mucchi, insegnante di matematica , mio caro amico:

    “.Elisa Mucchi AEAC – Associazione Esposti Amianto e altri Cancerogeni”

    NON L’HO MAI DIFFUSA PER VIE MEDIATICHE MA CREDO SIA GIUNTO IL MOMENTO:
    lettera che mi ha dettato mia madre nel febbraio 2010
    Maxi Processo Eternit

    …Di recente i mass-media hanno dato largo spazio al Maxi Processo di Torino che accusa chi ha provocato i disastri ambientali legati alla lavorazione dell’amianto. Grande Processo, grandi numeri. Ascoltiamo, proviamo solidarietà per le vittime, condividiamo l’accusa verso i responsabili ma poi dimentichiamo; pensiamo che non toccherà a noi. Purtroppo vengono colpiti dalle patologie correlate all’amianto molte più persone di quelle che immaginiamo.
    Un anno fa è cominciato il mio calvario: dolori che aumentavano giorno dopo giorno, per trovare una diagnosi a giugno 2009: Mesotelioma Pleurico. Il mesotelioma è il tumore, di cui si ha la certezza essere provocato dall’amianto in seguito ad esposizione prolungata e continua. Durante i miei 57 anni di vita, non mi risulta essere venuta a contatto con la sostanza killer, l’unico legame, considerato plausibile, è il lavoro di mio padre, che nello zuccherificio di Migliarino, impastava e lavorava amianto senza precauzioni e protezioni. Probabilmente i suoi vestiti da lavoro rilasciavano le fibre in casa e io le ho quotidianamente respirate. Un caso analogo si è verificato qualche anno fa in paese. Oggi ho saputo che in paese ci sono altri due casi. Cosa si può fare?
    La mia rabbia si scatena quando vedo l’indifferenza e l’ignoranza non tanto dei cittadini quanto delle istituzioni. E’ sufficiente guardarsi attorno per vedere ovunque tetti e tettoie di eternit in stato di incuria, anche nei paesi come Migliarino, dove abito, e nelle campagne circostanti. Attualmente, chi da bravo cittadino, volesse smaltire amianto, va incontro a spese eccessive, non supportate da alcun incentivo. Le istituzioni non si preoccupano di sollecitare e garantire una adeguata bonifica, anzi in alcuni casi dichiarano che è sufficiente dare un trattamento isolante.
    Al di là del mio caso personale, purtroppo si prevede che malattie correlate all’asbesto, saranno in grande aumento nei prossimi 10 anni. Curare tali patologie ha costi vertiginosi per lo stato (ma anche per gli ammalati), che forse la prevenzione, tramite lo smaltimento, potrebbe addirittura essere un risparmio.
    Oggi sono reduce da un grosso e importante intervento, eseguito in un ospedale specializzato di un’altra regione, in attesa di proseguire il percorso terapeutico. Denuncio, oltre la sofferenza fisica che non può essere descritta e immaginata, le ingenti spese sostenute (ho la fortuna di non avere difficoltà economiche e di mantenere il lavoro). In anni precedenti sono stati riconosciuti indennizzi a chi ha lavorato in ditte che usavano l’amianto; purtroppo nessun riconoscimento per i familiari.
    Io vorrei sensibilizzare le persone, vorrei formare un gruppo capace di promuovere almeno il risanamento: se è stato vietato l’uso dell’amianto, occorre non solo rimuoverlo in sicurezza, ma anche fornire informazioni su quello che è stato il suo utilizzo (chissà quanto asbesto abbiamo in casa e non lo sappiamo).
    Scrivere questa lettera è stato molto difficile: rabbia, impotenza e sofferenza hanno guidato il mio pensiero.
    Ringrazio per l’attenzione e mi auguro che il sassolino che ho lanciato non rimanga solo. Paola Occhi”””

    Quali altre parole possiamo dire su questa triste storia…Elisa e Giancarlo sono con voi. Un abbraccio
    Loredana “”

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